La natura, l’universo, la nostra stessa esistenza.
Tutto è governato da leggi ben conosciute, leggi alle quali niente e nessuno può sfuggire.
Esiste un legame profondo tra queste leggi e il nostro comportamento emotivo? Sì, le leggi della fisica possono essere applicate alle emozioni che governano la nostra quotidianità e, tra di esse, le più importanti sono quelle che provengono da… la termodinamica.
Come indica il suo nome, la termodinamica studia il movimento del calore. Più specificatamente, studia i modi in cui l’energia viene trasformata e, per poterne parlare, dobbiamo considerare un sistema di riferimento. In questo caso, studiamo il sistema dell’umanità con i suoi miliardi di particelle che si muovono ed interagiscono tra di loro.
Prendiamo ad esempio la particella Manel e la particella Elena.
I sistemi termodinamici tendono all’equilibrio, ma solo l’assenza di questo potrebbe fornire alle particelle studiate l’occasione di incontrarsi e interagire, per costruire qualcosa insieme. Equilibrio, in questo caso, significa dispersione di particelle e assenza di attività, di scambio di calore e purtroppo, bisogna dire, noi tendiamo a questo.
La prima legge della termodinamica dice che l’energia non si crea e non si distrugge, ma si trasforma. Tuttavia, prima di poter procedere con questa disciplina, dobbiamo tornare indietro e parlare di relazioni e di scienza, dell’epoca delle allegre scoperte e della speranza nella conoscenza, del dolce apogeo della fisica classica.
Nel corso dei due secoli dopo Newton (che ci ha insegnato che l’universo si poteva comprendere in termini esatti, matematicamente, soprattutto con le sue leggi sul moto e sulla gravitazione universale) si sarebbero aperti nuovi spiragli nella conoscenza del mondo e sarebbero sorti nuovi quesiti che avrebbero portato a scavare più a fondo nei segreti della materia e nelle forze che la controllano.
La gravità, ad esempio, è una grande forza quando si tratta di attrarre corpi, ma non lo è più quando si sono già attratti: nelle distanze brevi, altre forze diventano più importanti. Oltre a quella già citata, ci sono altre tre forze che governano le particelle molecolari, atomiche e subatomiche.
Prendiamo di nuovo ad esempio il sistema atomico Manel-Elena.
La più nota di queste altre forze è quella elettromagnetica, che nelle brevi distanze è molto più intensa della forza di gravità poiché può operare in due direzioni: può essere sia attrattiva che repulsiva. L’azione dell’elettromagnetismo è presente quasi ovunque nella vita quotidiana, ed è anche responsabile di ciò che accade in chimica.
È proprio la chimica che permette che tutto fluisca tra le particelle. È la chimica che ci provoca un formicolio ogni volta che vediamo l’altra particella (che amiamo). Ed è quando la chimica è intensa che avvertiamo veramente l’elettricità.
Le altre due forze, invece, sono più difficili da individuare, perché agiscono solo all’interno dei nuclei.
Una di queste forze causa radiazioni ed è chiamata ‘forza nucleare debole’. Così come quella magnetica, può sia attrarre che respingere e funziona solo a brevissime distanze. Nonostante il suo nome, non è né debole né difficile da rilevare, bisogna solo essere nel posto giusto del sistema atomico: in questo caso la forza verrà avvertita con grande intensità.
Poi c’è la forza nucleare forte, la più potente di tutte. Questa provvede a tenere tutte le particelle del nucleo unite insieme. Sappiamo quanto sia difficile scindere il nucleo di un atomo, e la maggior parte di voi direbbe che l’amore è la forza nucleare forte, perché rende inseparabili le particelle, ma un’analisi più attenta dimostra che è più una dipendenza: la caratteristica particolare della forza nucleare forte è che, contrariamente all’elettromagnetismo, non diminuisce con la distanza. Anzi, aumenta. È come se legaste le due particelle con un elastico… più le allontanate, maggiore sarà la loro attrazione, quindi più l’altra particella si allontana più ne sente il bisogno.
E quando l’elastico si rompe?
Beh, si verificano cose come l’esplosione di una bomba atomica.
La domanda che ora vi starete facendo è:
“Ma se due particelle sono sottoposte alle stesse forze, le avvertono con pari intensità?”
Alcuni segni indicano che queste forze possono non sortire lo stesso effetto su entrambe le particelle: forse per una la forza nucleare debole potrebbe essere troppo debole, la carica elettromagnetica potrebbe non essere così complementare o magari l’elastico della forza forte è troppo tirato.
Manel ed Elena sono due corpi caratterizzati dall’avere temperature diverse: in natura, quando si mettono in contatto due corpi a diversa temperatura, il calore fluisce sempre in modo spontaneo da quello più caldo a quello più freddo… non accade mai il contrario: possiamo, quindi, affermare che sia entrata in gioco la seconda legge della termodinamica.
La seconda legge della termodinamica è una delle più strane in natura. Introduce un concetto nuovo, difficile da afferrare, ma da cui è impossibile sottrarsi. Solleva interrogativi molto profondi sulla realtà, perfino sul significato del tempo e sul destino dell’universo: essa spiega che ogni sistema si evolve o si degrada fino a un certo punto, e sembra anche spiegare le ragioni per cui il futuro va in una certa direzione… le cose peggiorano sempre e ce ne accorgiamo subito.
È il momento, quindi, di introdurre un nuovo concetto: l’entropia.
L’entropia misura il degradare di una buona energia in forma di calore e, in un sistema isolato, aumenterà sempre.
In parole più semplici, l’entropia misura l’energia persa che non può essere recuperata. È una quantità di energia inutile, sprecata… e c’è un altro modo di vederla ancora più devastante: l’entropia è il disordine di un sistema, dunque più è presente, meno possibilità ci saranno di trovare una particella nella sua posizione originale e, siccome tende sempre ad aumentare, prima o poi regnerà il disordine. Questo rende la seconda legge della termodinamica deterministica: quando si avvia un processo, l’entropia aumenterà, impedendogli di tornare alle condizioni iniziali.
L’avanzare dell’entropia è lento, a volte quasi impercettibile, ma inesorabile: per eliminarla bisognerebbe fermare il movimento delle particelle. Ma nemmeno così saremmo in grado di eliminarla del tutto: presto o tardi, l’entropia metterà fine all’efficienza del sistema e la macchina smetterà di funzionare. Tutto questo comporta una conseguenza logica che è francamente allarmante: in un futuro remoto, l’energia disponibile nell’universo potrebbe non essere abbastanza per sostenere i processi in funzione oggi. Questo porterebbe a ciò che chiamiamo la ‘morte termica dell’universo’.
Sfortunatamente, cari lettori, nel lunghissimo termine, non ci saranno nemmeno esseri supermassivi come Elena per cui soffrire.
Ma stiamo di nuovo correndo troppo. Torniamo indietro nel tempo per capire che cosa è successo veramente, per capire cosa ha fallito nella fisica classica e ci ha portato alla conoscenza attuale delle cose.
Il problema della fisica classica è quello che potremmo chiamare il paradosso del punto di vista: due osservatori che si muovono uno rispetto all’altro misurano cose diverse.
Cambiamo sistema. Ora studieremo le particelle Pablo, Eva e Amante… vediamo come ognuno osserva l’evento della caduta di Pablo: dal punto di vista della fidanzata, Pablo cade a terra in linea retta, per l’amante, invece, dato che l’autobus avanza, Pablo cade seguendo una parabola. La parabola è ovviamente più lunga della linea retta e l’amante lo vede cadere a una velocità maggiore rispetto alla fidanzata.
E se applicassimo questo problema ad un raggio di luce?
I due osservatori dovrebbero vedere esattamente lo stesso evento perché la velocità della luce è costante: questo è esattamente quello che ha capito Einstein… Lui non ha solo dimostrato che lo spazio si restringe o si espande in base alla posizione dell’osservatore, ma che anche il tempo lo fa.
La relatività ristretta mostra chiaramente una cosa: nessuna misura di tempo è più valida di un’altra, dipende tutto dal movimento dell’osservatore.
Einstein avanzò anche un’altra proposta ancora più azzardata, chiamata ‘teoria della relatività generale’: cadere liberamente per gravità è totalmente equivalente a essere accelerato.
Per farvi capire, innamorarsi ha lo stesso effetto di correre più veloce di quanto si può. In entrambi i casi, il cuore vuole schizzare fuori dal petto.
Questo ha portato Einstein ad una conclusione sorprendente: la gravità non agisce come una forza normale.
Non serve più pensare alla gravità come una forza… in altre parole, si può descrivere l’attrazione gravitazionale come l’essere soggetti alla curvatura di spazio-tempo. Curvatura dovuta alla presenza di un altro corpo massiccio.
Stelle come Elena deformano lo spazio-tempo che le circonda grazie alla sola presenza e i pianeti come Manel credono di essere liberi, di seguire una linea retta, mentre invece sono intrappolati e orbitano intorno alla loro stella.
Tutto ciò è solo una parte della teoria di Einstein, ma la vera mazzata alla fisica classica doveva ancora venire.